Ok Computer di Radiohead, la quadratura del cerchio

Di Sergio Ariza

Con il loro terzo disco, i Radiohead riuscirono a quadrare il cerchio unendo due mondi contrapposti fino a quel momento: il rock di chitarre ‘pure’ del loro disco precedente, The Bends, con la sperimentazione tecnologica di altre musiche e universi che sarebbero arrivati con il loro disco successivo, Kid A.
Ok Computer fu l’album con cui i Radiohead si imposero come la rock band più importante del pianeta: il disco piacque ai fan dei Pink Floyd tanto quanto a quelli dei R.E.M.. Il rock classico e quello alternativo erano finalmente d’accordo su qualcosa: Thom Yorke, Jonny Greenwood e compagnia, composero uno dei due o tre migliori dischi degli anni ’90.      

Registrato fra maggio ‘96 e marzo ’97, Ok Computer ebbe il suo prologo il 4 settembre del 1995 quando, insieme al produttore Nigel Godrich, i Radiohead registrarono Lucky in poche ore, considerandola la miglior canzone che avessero partorito fino a quel momento. Jonny Greenwood dimostrò di essere il miglior chitarrista della sua generazione, utilizzando la sua Fender Telecaster Plus Tobacco Burst come fosse un violino (e quella fu l’ultima volta visto che la chitarra gli fu rubata un mese dopo). La canzone doveva molto a The Bends e tutti pensarono che quello fosse il cammino da seguire: fare un The Bend II e vendere milioni di dischi. Ma il gruppo aveva un’idea totalmente distinta e, certamente, non erano i tipi da ripetersi. Fin dalla prima canzone, Airbag, si nota che questo disco è un’altra storia. Ispirata dalla musica di DJ Shadow, ma interpretata con gli strumenti di una rock band, i Radiohead aprirono la porta a nuove sonorità e musicalità, con il basso di Colin Greenwood suonando come fosse una registrazione dub degli anni ’70.
   

   

Il resto del disco va di sorpresa in sorpresa mantenendo una qualità altissima canzone dopo canzone. Ma, occupandoci di chitarre, non possiamo ovviare la canzone più famosa, Paranoid Android, in cui uniscono diverse parti, come facevano i Beatles nella seconda parte di Abbey Road, e dove Jonny Greenwood ci regala uno dei riff più importanti degli anni ’90, oltre a due assoli memorabili, il primo con la forza e la ‘sporcizia’ della sua iconica interpretazione di Creep, e il secondo da fantascienza, come se il suo pedale si ribellasse e fosse lui a prendere il controllo della Tele Tobacco Burst. Non dimentichiamoci, poi, di Karma Police, No Surprises, Let Down o di The Tourist -con cui chiudono il disco-, un’altra dimostrazione di talento da parte del piccolo Greenwood, questa volta con la sua Fender Starcaster.
     

Ok Computer
 è un disco concettuale, a modo suo, che non segue una narrativa lineare ma un concetto in generale. In questo caso si tratta di una satira sulla vita moderna, sul peso crescente della tecnologia nelle nostre vite e dei problemi che implica. La band si anticipava alla rivoluzione di Internet, raggiungeva la perfezione a livello musicale e riusciva a portare il suo suono al massimo, attraverso una collezione di canzoni -senza eccezioni-, che li avrebbe trasformati nella grande speranza della chitarra rock. Ovviamente rifiutarono tutto: si sarebbero presto lanciati alla ricerca di nuove formule da perfezionare. Resta che, in quel momento glorioso, consegnarono al mondo intero il disco di cui si sentiva il bisogno.
   


(Immagini: ©CordonPress)

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